“Una grande onda al largo di Kanagawa”,
xilografia del pittore giapponese Hokusai

“Quando la tempesta sarà finita,
probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo.
Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero.
Ma su un punto non c’è dubbio…
Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato”.
Haruki Murakami,
Kafka sulla spiaggia (Torino, Einaudi 2008).

 

  1. LA NOSTRA ECONOMIA RIVEDRA’ LE STELLE? (DI CERTO I PREZZI SI’)

La pandemia globale non è ancora finita. Lo confermano i bollettini covid quotidiani. Ma ci sono altri dati, che danno speranza. Secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale per le economie asiatiche il tasso di crescita atteso per il 2021 è del 7,5%. Per gli Stati Uniti è quasi del 7%. Per la nostra Europa si stima una crescita del 4,6%.

Più lenta la crescita stimata per le aree ancora indietro con la campagna vaccinale: Asia Centrale e Africa Sub-Sahariana si fermeranno, rispettivamente, al 4% e al 3,4% [1].

Ma in questo orizzonte economico, a prima vista sereno, vi è la grande ombra dell’inflazione, che potrebbe frenare questa ascesa.

Negli Stati Uniti, a luglio 2021, l’inflazione ha superato, per il terzo mese, la soglia del 5% su base annua. Nell’Eurozona, l’Eurostat segnala ad agosto un aumento del 3%, in crescita rispetto al 2,2% di luglio e con un boom in particolare per la Germania (+3,9% ad agosto) [2].

Tra le cause di questo fenomeno sicuramente vi sono le politiche monetarie e fiscali espansive che stanno attuando sia gli Stati Uniti che l’Europa e lo smodato aumento del prezzo dell’energia: il prezzo del petrolio ha superato i 70 dollari al barile dopo il crollo dell’anno scorso e la riduzione dell’offerta da parte dei Paesi esportatori ed è lievitato il prezzo del gas naturale [3].

Come scrisse Ludwig von Mises «Inflazione significa aumento della quantità di denaro e banconote in circolazione e della quantità di depositi bancari soggetti a controllo. Ma oggi si usa il termine “inflazione” per riferirsi al fenomeno che è una conseguenza inevitabile dell’inflazione, la tendenza all’aumento di tutti i prezzi e gli stipendi. Il risultato di questa deplorabile confusione è che non c’è più un termine per indicare la causa di questo aumento nei prezzi e negli stipendi. Non c’è più alcuna parola disponibile per indicare il fenomeno che, finora, è stato denominato inflazione. Ne consegue che nessuno si preoccupa per l’inflazione nel senso tradizionale del termine

L’inflazione, nel senso proprio del termine e quindi intesa quale aumento della massa monetaria in circolazione nel mercato, ha causato, insieme alla variazione della domanda di taluni beni, come inevitabile conseguenza, l’aumento generalizzato dei prezzi.

Uno degli eventi più devastanti della storia europea fu l’iperinflazione che colpì la Germania di Weimar nel 1923.

Quando si parla della Germania degli anni Venti, si è soliti rievocare le immagini della spesa dal panettiere fatta con le carriole piene di soldi.

Siamo stati travolti dall’ondata dell’aumento dei prezzi delle materie prime: l’indice Bloomberg Commodities Spot (che misura i prezzi di 22 materie prime) a fine giugno 2021 segnava un + 78% rispetto a marzo 2020.

Nell’ultima nota mensile sull’economia italiana, l’Istat, ha confermato che, dalle aspettative di inflazione degli operatori economici, ad agosto sono emerse indicazioni di nuovi incrementi dei prezzi per i prossimi mesi.

Il rincaro delle materie prime è causato da numerosi fattori. Uno di questi è la forte ripartenza dell’industria e delle filiere produttive di alcuni settori dopo lo stop dovuto alla pandemia. Il boom di richiesta ha generato la carenza di materie prime e questo ne ha fatto schizzare i prezzi alle stelle, determinando considerevoli aumenti dei costi di produzione.

Nell’arco della pandemia inizialmente i prezzi di molte materie prime hanno avuto un tracollo a causa dell’iniziale deperimento della domanda dovuto allo choc economico in corso a livello globale: per esempio, 20 aprile 2020, per la prima volta nella storia il prezzo del petrolio ha toccato un indice negativo nei mercati finanziari [4]. Nel corso dei mesi successivi, tuttavia, con le prime riaperture ed il riavvio della produzione, la situazione è mutata ed all’aumento della domanda non è corrisposta un’adeguata capacità di offerta dei mercati.

Prima che le banche centrali lanciassero i piani di risanamento e i governi iniziassero la nuova politica di ripartenza, imprese e governi hanno attuato strategie conservative di “consumo delle scorte” con conseguente precipitazione dei titoli e delle “scommesse” associate al loro commercio. Mentre questa era la situazione per quanto riguarda petrolio e gas, sul fronte dell’energia elettrica, la transizione energetica, promossa quale necessaria, richiedeva importati investimenti iniziali a fronte di un grande potenziale sviluppo [5].

Nell’estate del 2020, le attività economiche iniziavano a riprendere la loro marcia ed il sistema energetico mondiale si è trovato di fronte a profonde inefficienze. Il tentativo di rilancio dell’industria e dei commerci ha creato gravi squilibri di natura logistica: la ripresa della produzione industriale ha determinato grande necessità di petrolio, gas naturale, energia elettrica e di materiali, dall’acciaio al pvc.

La carenza di scorte, conseguente alle scelte fatte da aziende e governi nella prima fase della pandemia, ha imposto ai produttori di portare avanti contestuali politiche massive di acquisizione di fonti di pronto utilizzo e di ricostituzione delle riserve. Questo fenomeno ha esaltato il ruolo dei produttori esteri delle fonti come la Russia, aumentando l’incertezza nella concessione dei rifornimenti. Dopo una prima fase in cui la pandemia ha provocato una crisi generalizzata per tutte le economie avanzate, ora stiamo assistendo ad una fase di acuta incertezza, che evidenzia limiti e problematiche strutturali esistenti e slegate dalla pandemia.

L’incertezza sui nuovi futuri assetti economici, appare ormai non più legata al ciclo aperture-chiusure né all’andamento della campagna vaccinale o dei contagi, ma riguarda criticità del sistema che nel costo delle materie prime trovano il loro punto di sfogo in un contesto di difficile connubio tra economia reale, finanza e commercio.

 

  1. LA “GLOBAL GATEWAY”: come l’Europa si prepara a rispondere alla Cina

La Presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen nell’ultimo discorso sullo Stato dell’Unione al Parlamento europeo, ha parlato della costruzione di un Global gateway. Il progetto riguarda l’istituzione di una via di accesso globale che riesca a garantire gli approvvigionamenti di cui l’Europa necessita e che si ponga come alternativa verde e democratica alla “Via della Seta” cinese.

In pieno lockdown, mentre i prezzi delle materie prime crollavano in tutto il mondo, la Cina ne ha fatto incetta, acquistando a basso costo tutto ciò che poteva comprare. Oggi la Cina detiene gran parte dell’intero stock di materie prime.

In questo contesto, le nuove misure economiche cinesi volte a favorire l’import e disincentivare le esportazioni, per dare fiato alla domanda interna, [6] mettono l’Europa in una posizione difficile.

Tuttavia anche la Cina sta affrontando serie problematiche: ad aprile di quest’anno, la Banca centrale cinese ha chiesto agli istituti di credito di frenare l’offerta del credito, poiché l’ingente iniezione di liquidità della Banca Centrale Cinese finalizzata alla ripresa dal virus ha generato la preoccupazione degli economisti per le bolle degli asset e la stabilità economico-finanziaria del Paese. A questo si aggiunge anche il nuovo clima politico: il presidente della repubblica cinese, Xi Jinping ha di recente annunciato la nuova politica della “prosperità comune”, un nuovo traguardo sociale che mira a una più sana distribuzione della ricchezza. La Cina ha scelto, in questo momento storico, dopo un ventennio di incessante crescita (“ad ogni costo”), di (cercare di) risolvere i problemi interni (dalla crisi del debito, ai problemi demografici, alla carenza di forza-lavoro, alla crescente siccità nella zona settentrionale).

Vi è anche la minaccia delle ripercussioni della crisi che riguarda il colosso immobiliare Evergrande, che rischia il fallimento e ha messo in allarme i mercati finanziari di tutto il mondo [7]. Molti economisti e la stampa internazionale parlano di un “momento Lehman Brothers” per l’economia asiatica, ricordando la crisi economica che divenne globale e che partì proprio dallo scoppio di una bolla immobiliare statunitense nel 2008.

Insomma, un quadro complesso: una terribile pandemia, un aumento esponenziale del costo delle materie prime, le borse mondiali reduci da un anno di incredibili rialzi. Cos’altro succederà?

 

  1. LUCE E GAS: da ottobre a lume di candela?

Il costo dell’energia continua a salire. Nel prossimo trimestre la bolletta dell’elettricità potrebbe aumentare del 40%.

Il rincaro dei prezzi dell’elettricità è un fenomeno già in atto da mesi e non riguarda solo l’Italia, ma diversi paesi europei [8]. Gli effetti sulle bollette sono stati nel nostro Paese sino ad ora contenuti grazie all’intervento del governo che ha stanziato 1,2 miliardi di euro e questo ha contenuto l’aumento dei prezzi, per i consumatori, sotto la soglia del 10%.

Dopo i lunghi mesi di lockdown, la ripresa delle attività produttive ha causato il repentino aumento del fabbisogno energetico. L’aumento della domanda ha fatto lievitare i prezzi delle materie prime da cui dipende la produzione energetica e petrolio e gas naturale hanno registrato rispettivamente un rincaro del 200% (dalla primavera 2020) e del 30% (solo nel secondo trimestre del 2021). Peraltro la Russia ha deciso di tagliare gran parte delle quantità destinate all’Europa, a favore del mercato asiatico, mentre sul fronte europeo, alcuni

problemi nei giacimenti del Mare del Nord e l’esaurimento in atto di uno dei più importanti dei Paesi Bassi hanno fatto registrare una sensibile riduzione del gas naturale disponibile.

Oltre ai prezzi delle materie prime non rinnovabili, sono aumentati anche i costi dei permessi di cui dispongono le aziende per produrre anidride carbonica [9].

Le variazioni delle bollette sono stabilite ogni trimestre dall’autorità per l’energia sulla base del costo delle materie prime come il gas e dal costo della CO2 e non sappiamo se il Governo sceglierà di continuare ad intervenire stanziando fondi a favore dei consumatori. Il fatto è che, se davvero dovesse concretizzarsi lo stimato rialzo delle bollette del 40%, si verificherebbe una gravissima perdita del potere di acquisto per i cittadini considerato anche che, all’aumento del prezzo dell’energia, faranno seguito – e stanno facendo seguito – l’impennata a cascata di tutti i prezzi. Questa sarebbe anche un colpo insostenibile le imprese, oltre che un grave freno alla ripresa economica del Paese.

In Spagna, per esempio, il governo interverrà riducendo l’imposta sull’elettricità dal 5,1% allo 0,5% per mitigare gli oneri a carico dei consumatori.

L’Italia non è un Paese energeticamente autosufficiente e ogni anno è obbligato a importare grandi quantità di fonti di energia fossile e rinnovabile per sopperire al proprio fabbisogno e produrre energia elettrica.

Vedremo come la politica saprà interpretare capire il futuro energetico dell’Italia: tra la necessità di investire sulle rinnovabili e l’annosa questione del nucleare, il tema è caldo.

 

  1. Edilizia: costruire al prezzo … dell’oro

L’incremento di prezzo di ferro e acciaio per l’edilizia ha raggiunto in un anno la soglia del 150 %.

Con l’introduzione del Superbonus 110% e di una serie di strumenti innovativi quali la cessione del credito e lo sconto in fattura c’è stato nel corso dell’anno un aumento di produttività per il settore edile.

Ora però il settore rischia una frenata a causa del rincaro dei prezzi delle materie prime, che potrebbe mettere cantieri e superbonus in pericolo. Il rincaro dei prezzi delle materie prime ha già portato molte imprese al blocco dei cantieri e dell’inizio del lavoro.

In questa situazione generale vengono messi a rischio anche i contratti d’appalto, spesso risolti per l’impossibilità dei committenti di adeguarsi ai nuovi costi [10].

Quale strumento di soluzione al problema, era stato proposto un emendamento al Decreto Sostegni-bis, che contemplava l’introduzione di un particolare calmiere, con strumenti che prevedevano l’accantonamento, i ribassi d’asta e un fondo per adeguamento di prezzario. Il meccanismo di compensazione istituiva un fondo di circa 100 milioni di euro che, però si rivolgeva essenzialmente solo alle aziende appaltatrici pubbliche. Chiuso senza effettivi interventi il Decreto Sostegni Bis, ora si confida sul PNRR. Attualmente al vaglio dell’Esecutivo c’è il D.L. infrastrutture che però non prevede alcun meccanismo di compensazione per le imprese private.

Si rende necessario, come chiede a gran voce la categoria (per mezzo di Gabriele Buia, presidente dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili): “un intervento immediato che consenta una revisione dei prezzi anche sul fronte del mercato privato, dove il caro materiali sta impattando pesantemente sulle imprese, impegnate in questo periodo anche nei cantieri del Superbonus. I ritardi nelle consegne dei materiali e la carenza di attrezzature, tra cui i ponteggi, stanno determinando per le imprese l’impossibilità di rispettare i tempi contrattuali previsti, sia nelle opere pubbliche che nei cantieri privati”.

 

  1. I RINCARI COINVOLGONO ANCHE L’INDUSTRIA METALMECCANICA.

Il prezzo dell’alluminio è schizzato alle stelle dopo la notizia del colpo di stato in Guinea che ha fatto temere lo stop della fornitura di bauxite, materia prima utilizzata per produrlo. Il prezzo del metallo, in rialzo del 39% da gennaio [11], ha raggiunto il prezzo più alto degli ultimi 10 anni. Le quotazioni a Londra sono salite di oltre un terzo da inizio anno e questo anche a causa della Cina, che in attuazione delle politiche di cui si è parlato, ne produce meno ma ne importa sempre di più.

La produzione metalmeccanica in Italia è salita del 30% nella prima metà del 2021 fino a tornare ai livelli pre-pandemia, ma l’incertezza relativa ai costi delle materie prime è un problema che potrebbe causare lo stop produttivo per il 21% delle imprese del settore [12]. Sempre secondo i dati dell’indagine congiunturale svolta da Finmeccanica, il 93% delle imprese ha risentito del rincaro dei prezzi dei metalli e dei semilavorati in metallo utilizzati nei processi produttivi. Il 72% delle imprese ha dichiarato di avere difficoltà di approvvigionamento dei metalli e semilavorati, per la loro scarsità sul mercato e il significativo allungamento dei tempi di consegna.

Nella primavera del 2020 tutti i paesi hanno subito riduzioni di pil, con conseguente calo della produzione di acciaio. Basti pensare che in Italia, tra marzo e aprile del 2020 la produzione era scesa del 40% prima di riuscire a recuperare e chiudere sotto di soli 12 punti percentuali. La Cina (che rappresenta più della metà della produzione siderurgica mondiale), ha invece incrementato la sua produzione del 7%. Le industrie manifatturiere che si sono fermate hanno quindi consumato le scorte.

A fine anno, con l’inizio della ripresa, la Cina ha continuato a crescere in maniera costante dal punto di vista siderurgico raggiungendo nel primo trimestre del 2021 il +15%. Era un paese esportatore, ma l’incremento dello stimolo interno ha portato a un aumento del 144% dell’import. Questa dinamica ha tolto dal mercato una quota significativa dell’acciaio presente. Contestualmente, anche gli Stati Uniti diminuivano la produzione siderurgica del 5%, ed anche loro hanno iniziato a importare moltissimo materiale [13].

La produzione di acciaio avviene o dal minerale di ferro o dal rottame. Il 90% della produzione della Cina arriva nel primo modo, e questo fa aumentare a dismisura il costo degli approvvigionamenti. Anche l’Europa ha uno sbilanciamento del 70% verso il ciclo integrale.

L’Italia, invece, realizza l’80% della produzione tramite forno elettrico con rottame. E questo ha giovato alla ripresa: nel primo trimestre siamo cresciuti del 19%, contro l’1,7% della Germania. E ad aprile c’è stato un ulteriore incremento.

L’Europa, con il Green New Deal, ha dichiarato di voler attuare una robusta decarbonizzazione della produzione, puntando su altre forme di energia come l’idrogeno. Per attuare la transizione, il modo più immediato è passare dal ciclo integrale a quello elettrico e questo comporta elevata necessità di rottame. La Cina ha già messo un dazio del 40% all’esportazione di questa tipologia di materiale siderurgico e lo stesso hanno fatto Russia e Ucraina. L’Europa esporta il rottame e ogni anno ne cede 17 milioni di tonnellate. Questo comporterà pesanti tensioni sui prezzi.

La nostra capacità produttiva è al momento al massimo. Al momento solo risolvere il problema dell’acciaieria di Taranto, che sta producendo una quantità molto limitata rispetto a quanto potrebbe portare sollievo nel settore.

Ma un conto è il fatturato, un conto sono i margini: anche in tal caso pesano i rincari delle materie prime [14] e quindi i costi di produzione.

Le aziende potrebbero, come prima difesa, aumentare i prezzi di vendita. Ma è difficile riversare completamente sul prezzo di vendita gli incrementi dei fattori produttivi, restando competitivi sul mercato.

La scarsità di materie prime potrebbe portare a breve ad una sensibile riduzione della produzione di beni ed in questo caso l’aumento del costo dei beni sarebbe l’effetto automatico del fenomeno dei rincari.

Ad oggi, si è intrapreso un dialogo – si spera fruttuoso – tra Europa e Stati Uniti. L’Europa avrebbe avuto la possibilità di incrementare i dazi tra il 25 e il 50% ma ha deciso di non farlo, mostrando apertura verso gli Stati Uniti. Al momento però Biden non ha espresso l’intenzione di togliere l’imposta del 25% per ogni kg di acciaio che entra negli Usa. Permane quindi questa distorsione e l’Europa deve comunque difendersi.

Il settore metalmeccanico sta richiedendo al governo interventi in grado di produrre effetti nell’immediato, come gli incentivi per il 4.0 e misure che abbiano un lungo respiro, come le politiche industriali utili per gestire la transizione tecnologica ed ecologica.

 

  1. I RINCARI DELLE MATERIE PRIME ALIMENTARI

Il report mensile dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura evidenzia pesanti rincari riguardanti i generi alimentari. L’indice Fao dei prezzi alimentari ha registrato una media di 127,4 punti ad agosto, in crescita del 3,1% rispetto a luglio e del 32,9% rispetto allo stesso mese del 2020. L’Indice Fao dei prezzi dei cereali è stato in media del 3,4% in più in agosto rispetto a luglio.

I prezzi mondiali del grano sono aumentati dell’8,8% a causa della riduzione delle aspettative di raccolto in diversi importanti paesi esportatori. Questo preannuncia un aumento del prezzo di pane, pasta ed altri derivati, che potrebbero portare ad aumenti di listino fino al 20%.

L’indice Fao dei prezzi dello zucchero è aumentato del 9,6% ad agosto rispetto a luglio, spinto dalle preoccupazioni per i danni causati dal gelo alle colture in Brasile, il più grande esportatore di zucchero al mondo. L’indice dei prezzi dell’olio vegetale è aumentato del 6,7%.

Questi aumenti stanno avendo significativi effetti anche sulle aziende agricole, aumentandone i costi e riducendone la marginalità.

Il primo prodotto interessato dal caro-materie è stato il grano duro per via della crescita della domanda di pasta con grano 100% Made in Italy e dall’altro dal calo del 10% delle produzioni a causa dei cambiamenti climatici. (L’Italia raccoglie circa l’11% dell’intera produzione globale di grano duro [15]).

Inoltre in Italia l’85% delle merci viaggia su strada e i rincari dei costi di trasporto e logistica generano un effetto valanga sulla spesa delle famiglie e sui costi delle imprese, soprattutto nel sistema agroalimentare dove i costi della logistica arrivano ad incidere fino dal 30 al 35% su prodotti freschi per frutta e verdura. E’ stato stimato che il deficit logistico italiano costa al nostro Paese oltre 13 miliardi.

Il settore richiede grandi investimenti che mirino all’efficientamento. Anche in tal caso il PNRR può essere determinante per agire sui ritardi strutturali dell’Italia e sbloccare tutte le infrastrutture. I collegamenti tra Sud e Nord vanno migliorati ed anche i collegamenti con il resto del mondo – per via marittima e ferroviaria.

L’aumento dei costi dei noli marittimi e dei container trasportati via nave minaccia i fatturati cui punta l’export agroalimentare italiano. La gestione dei container è in mano alla Cina, che sta adottando una politica aggressiva nella gestione dei porti privilegiando le destinazioni a lei più funzionali.

Si è verificato anche l’aumento dei costo-imballaggi, che possono arrivare a costare più del prodotto che contengono.

Si rischia così una situazione insostenibile sul fronte dei prezzi poiché a queste condizioni, in aggiunta agli aumenti di luce acqua e gas, i fornai non potranno riuscire a non aumentare i prezzi al dettaglio.

Per ora gli aumenti nei prezzi all’ingrosso e all’origine del frumento e degli olii ancora non hanno avuto ricadute sui prodotti al consumo che anzi continuano a registrare aumenti dei prezzi non solo inferiori all’inflazione media ma anche all’inflazione alimentare. Ma non potrà durare ancora a lungo.

Ad ottobre pagheremo davvero il pane al peso dell’oro?

 

  1. SVOLTA GREEN E TRANSIZIONE DIGITALE

La svolta green, che durante la pandemia ha subito una rapida accellerata, ha causato il repentino aumento della domanda di litio, imprescindibile per la realizzazione di batterie (incluse quelle delle auto elettriche).

La transizione digitale ha invece provocato l’ingente aumento della domanda di rame, conduttore essenziale per “cablare il pianeta”.

 

 

  1. LA POSIZIONE DELLE BANCHE CENTRALI

Rispetto a questi fenomeni inflazionistici le banche centrali stanno assumendo atteggiamenti diversi.

La FED americana si è dichiarata disposta ad accettare un’inflazione ben al di sopra della media – e di non procedere quindi a innalzare i tassi di interesse o a ridurre repentinamente il piano di acquisto dei titoli – pur di preservare la ripresa [16].

La BCE per la prima volta dal 2003, a luglio ha rivisto la propria strategia – ancorata a un’inflazione vicina ma al di sotto del 2% – adottando un obiettivo “flessibile”.

Sulla scorta di questo, per i prossimi mesi non dovremo, salvo sorprese, aspettarci aumenti dei tassi di interesse, pur in presenza di una inflazione sostenuta. Invero sono le stesse banche centrali a contribuire a tenere bassi i tassi grazie ai loro enormi piani di acquisto dei titoli.

Ma quanto durerà? Quanto tempo si potrà resistere con gli attuali tassi?

Ciò che più spaventa è la prospettiva di una crisi finanziaria. Un aumento dei tassi di interessi e/o l’uscita repentina dai programmi straordinari di acquisti dei titoli potrebbe generare una o più crisi finanziarie mondiali, stante l’enorme aumento dei debiti (pubblici e privati) successivo alla pandemia.

 

  1. TRA PAURE E INCERTEZZE

Si percepisce la paura dei mercati. Tra gli investitori si sta diffondendo il timore di una possibile “stagflazione” post-pandemia. Il termine indica una situazione nella quale sono contemporaneamente presenti nello stesso mercato sia un aumento generale dei prezzi (inflazione), sia una mancanza di crescita dell’economia in termini reali (stagnazione economica) [17].

Usa e Cina sono ufficialmente entrati in un regime di stagflazione. L’Europa rischia di “incapparvi” nel 2022 [18].

La riduzione dell’offerta di molte materie prime sta provocando gravi squilibri del mercato, alimentando la spirale inflazionistica. Se le materie prime continueranno la loro corsa, tutte le imprese saranno costrette ad aggiornare i listini senza che ciò impatti sul loro posizionamento sul mercato [19].

Come ha dichiarato alla rivista Vox Claudia Sahm, ex economista presso la Federal Reserve: «C’è sempre questa incertezza, e ci vuole un po’ di tempo per ottenere abbastanza dati per formare una narrazione. Un fenomeno complesso ha cause complesse». Insomma, nessuno è in grado di prevedere il prossimo futuro.

Se non che ne vedremo delle belle (o delle brutte, a seconda del lato del prisma).

Riusciremo, finalmente, a rivedere le stelle?

Padova, li 22 settembre 2021

(Sara Zurru)

[1] www.ispionline.it, “Economia globale: l’autunno caldo dell’inflazione”, di Antonio Villafranca.

[2] www.corriere.it, “Materie prime, prezzi ai massimi: chi guida i rincari (e perché ci sarà la stangata d’autunno)”, di Fausta Chiesa.

[3] Da inizio anno il costo del gas naturale è triplicato a causa del calo dei flussi di gas provenienti dalla Russia verso l’Europa. A poche settimane dall’inizio dell’accensione dei riscaldamenti, le scorte europee sono in calo del 20% rispetto alla media stagionale.

[4] Quell’indice Wti, già crollato nei giorni successivi all’accordo sui tagli della produzione tra Russia, Stati Uniti e Paesi Opec, ha perso oltre il 190% del suo valore e a fine sessione era quotato a -16 dollari al barile sui mercati finanziari.

[5] www.insideover.com, “L’era della grande incertezza per materie prime ed energia”, Andrea Muratore.

[6] Consistenti nell’azzeramento del dazio sull’import di lingotti, billette, ghisa, ferrocromo e rottame siderurgico provenienti da Paesi fuori dall’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico e nell’eliminazione dello sgravio fiscale di cui beneficiavano le esportazioni di una vasta gamma di prodotti siderurgici.

[7] Con un debito accumulato superiore ai 300 miliardi di dollari, nel corso dell’anno ha perso l’80% del valore di Borsa. Il settore immobiliare rappresenta circa il 15% del Pil cinese.

[8] Dal secondo trimestre del 2020 allo scorso agosto, il prezzo dell’energia elettrica per gli italiani è passato da 16,08 a 22,89 centesimi di euro per kilowattora. Lo scorso trimestre i costi sono aumentati del 20%.

[9] Il Sistema per lo scambio delle quote di emissione dell’UE (ETS UE), il cui obiettivo è quello di ridurre le emissioni di CO2, prevede un meccanismo di permessi e quote: una volta fissato dall’UE il tetto massimo di anidride carbonica che le aziende possono produrre, le autorità europee rilasciano dei permessi-quote in un numero limitato che le aziende poi acquistano, ricevendo o vendendo le proprie quote in base alle loro emissioni. Considerato che l’obiettivo è ridurre le emissioni di CO2, la quantità di permessi in circolazione viene periodicamente ridotta, facendone aumentare di volta in volta i prezzi.

[10] www.edilizia.com, “Rincaro materie prime pone un freno all’edilizia: cantieri e superbonus in pericolo”.

[11] Al London Metal Exchange (Lme) è arrivato a 2.782 dollari per tonnellata nel primo giorno in cui la Borsa londinese ha riaperto dopo la chiusura per la pandemia.

[12] Secondo le stime scolte nella “159^ indagine congiunturale di Federmeccanica”, di recente presentata a Roma.

[13] La Turchia, negli ultimi mesi del 2020, è riuscita a entrare negli Stati Uniti nonostante la barriera di protezione che prevede il 25% di dazio a tonnellata.

[14] La ghisa da affinazione è passata da 319 euro la tonnellata, di settembre 2020, ai 521 euro di maggio 2021 (+63%). Il rottame e il lamierino in pacchi dai 303 euro a tonnellata di inizio settembre, agli oltre 438 euro di maggio (+45%). Il prezzo medio mensile dell’alluminio primario quotato al LME, dai minimi della primavera 2020 in un anno è aumentato del 60%.

[15] L’Italia è leader in Europa e seconda al mondo dopo il Canada per produzione di grano duro.

[16] www.ispionline.it, “Economia globale: l’autunno caldo dell’inflazione”, di Antonio Villafranca.

[17] Il termine fu coniato per descrivere il fenomeno che avvenne nel 1973, quando i paesi dell’OPEC quadruplicarono le quotazioni del greggio, riducendo l’offerta. I tassi d’inflazione esplosero in tutto l’Occidente, ma l’economia, già in rallentamento con la maturazione del processo d’industrializzazione, praticamente si fermò. Alla fine di quel decennio (1979) la rivoluzione islamica in Iran provocò un’altra ondata di rialzi delle quotazioni del greggio. L’inflazione tornò a salire, ma stavolta fu contrastata dalle politiche di Regno Unito e USA. I tassi d’interesse furono alzati drasticamente. La Federal Reserve li portò al 20% nel 1981, cioè fino a 10 punti sopra l’inflazione, quando erano circa l’1% sotto solamente due anni prima.

[18] www.ilsole24ore.com, “Il mondo rischia la stagflazione. Ecco i settori in Borsa che possono combatterla”, di Vito Lops.

[19] www.investireoggi.it, “Cos’è la stagflazione, perché i mercati hanno paura e quando c’è stata già”, di Giuseppe Timpone.