Con la sentenza n. 245 del 29 novembre 2019, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, della L. n. 3/2012 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento), limitatamente alle parole “all’imposta sul valore aggiunto”.
Tale norma prevede che il piano nel quale si sostanzia l’accordo di ristrutturazione dei debiti proposto ai creditori può prevedere una soddisfazione non integrale dei crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca quando ne è assicurato il pagamento in misura non inferiore rispetto a quella realizzabile in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi.
Tuttavia l’art. 7, primo comma, terzo periodo, L. 3/2012, precisa(va) per quanto attiene l’adempimento legato all’IVA (oltre che dei tributi che costituiscono risorse proprie dell’Unione e delle ritenute non versate dal sostituto d’imposta), può essere oggetto solo di dilazione e non di parziale decurtazione.
Il giudizio di legittimità costituzionale di tale disposizione è sorto a seguito dell’ordinanza del 14.5.2018 con la quale il Tribunale di Udine, a fronte di una domanda di ammissione di un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento ex art. 6 primo comma L. n. 3/2012 che prevedeva il pagamento parziale del debito IVA, ha ravvisato delle analogie con la disciplina del concordato preventivo, ove, in estrema sintesi, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia Europea del 7.4.2016, causa C-546/14, è stata “sdoganata” la possibilità di pagamento parziale dell’IVA nei casi in cui tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nell’alternativa fallimentare (peraltro, la questione pregiudiziale era stata sottoposta alla C.G.U.E. sempre dal medesimo Tribunale di Udine), come peraltro previsto dal combinato disposto di cui agli artt. 160 e 182-ter l.f. nel vigente tenore.
Pertanto il Tribunale di Udine ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, L. n. 3/2012, relativamente agli artt. 3 e 97 Cost.
La Corte Costituzionale, ha rilevato anzitutto:
(i) come la L. 3/2012 ha introdotto nel nostro ordinamento degli strumenti per i soggetti non fallibili, in crisi perché gravemente indebitati o già insolventi, di chiara matrice concorsuale, strutturati in chiave concordataria o meramente liquidatoria ed in termini sostanzialmente analoghi agli affini istituti contenuti nella legge fallimentare per i debitori fallibili;
(ii) che la disciplina sul sovraindebitamento replica la filosofia di fondo di quella del concordato preventivo, individuata nella esigenza di garantire anche ai soggetti non fallibili, connotati da gravi situazioni debitorie, l’accesso a misure di carattere esdebitatorio, alternative alla liquidazione o conseguenziali alla stessa, tali da consentire loro di potersi ricollocare utilmente all’interno del sistema economico e sociale, senza il peso delle pregresse esposizioni, pur a fronte di un adempimento solo parziale rispetto al passivo maturato; e ciò alla stessa stregua di quanto riconosciuto dall’ordinamento agli imprenditori assoggettabili a fallimento. Si tratta quindi di procedure che, in alternativa alla esecuzione individuale ed in deroga al principio secondo il quale delle obbligazioni si risponde con i propri beni attuali e futuri, attraverso forme concorsuali di soddisfacimento dei creditori destinate a garantire la par condicio (art. 2741 cod. civ.), sono in grado di permettere al debitore di conseguire il beneficio dell’esdebitazione;
(iii) che l’accordo con i creditori è strutturato ribadendo, nei suoi tratti essenziali, la struttura del concordato preventivo previsto dalla legge fallimentare. Infatti, entrambe le procedure hanno una base negoziale; entrambe sono pervase dal principio della parità di trattamento dei creditori concorsuali; prevedono il blocco delle iniziative esecutive individuali in danno del patrimonio del proponente; impongono, sin dall’ammissione e sino all’omologazione, un parziale spossessamento della capacità di disporre dei beni, nonché la cristallizzazione degli accessori del credito; entrambe le procedura sono sottoposte alla verifica giurisdizionale, in sede di ammissione e di successiva omologa, dalla promana l’efficacia erga omnes per tutti i creditori, compresi quelli dissenzienti.
Premesso quanto dianzi sinteticamente esposto, per meglio comprendere il tratto di differenziazione di disciplina in tema di falcidibialità dell’IVA tra quanto previsto nell’ambito del concordato preventivo e quanto previsto dalla normativa dettata per l’accordo di composizione della crisi del debitore non fallibile, la Corte Costituzionale si è soffermata sull’evoluzione che nel tempo ha assunto l’art. 182-ter della legge fallimentare proprio con riferimento al tema della deroga al principio della generale falcidiabilità delle pretese tributarie all’interno della procedura di concordato preventivo.
Da tale excursus normativo è emerso che originariamente sia per il concordato preventivo, sia per l’accordo proposto ai creditori in forza della Legge n. 3/2012, la falcidia dei crediti tributari era dunque consentita con l’esclusione di quanto dovuto per IVA, per altri tributi costituenti risorse dell’Unione europea, per il versamento delle ritenute fiscali. Peraltro, siffatto assetto normativo era stato ritenuto conforme alla Costituzione da parte della Corte Costituzionale con la sentenza n. 225 del 2014 e l’ordinanza n. 232 del 2015.
Ad ogni buon conto, la Corte Costituzionale ha riconosciuto come la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 7.4.2016, in causa C–546/14 (i cui principi sono stati poi ribaditi nella successiva sentenza della C.G.U.E. del 17.3.2017, in causa C-493/15) ha determinato un radicale cambio di tendenza quanto al quadro normativo e interpretativo di riferimento sul tema della falcidia del credito IVA all’interno della procedura di concordato preventivo.
In particolare, tala pronunzia ha costituito la ragione fondante dell’attuale tenore dell’art. 182-ter l.f., così come modificato dall’art. 1, comma 81, della L. n. 232/2016.
Al contempo, la Corte Costituzionale ha segnalato che con il nuovo Codice della Crisi di Impresa e dell’insolvenza (benchè non applicabile al caso di specie) il legislatore ha da ultimo operato una revisione complessiva della disciplina relativa alle procedure concorsuali, all’interno della quale risulta anche ridisegnata la normativa relativa alle crisi da sovraindebitamento, prevedendo una serie di novità, tra le quali – sia con riferimento al concordato minore (ovverosia il vecchio accordo di composizione, ora disciplinato dagli artt. 74 e ss. CCII), sia in relazione alla procedura di “ristrutturazione dei debiti del consumatore” (ossia l’originario piano del consumatore, oggi regolato dagli artt. da 67 a 73 CCII) – il possibile pagamento parziale dei crediti privilegiati e tra questi anche di quelli tributari, senza più riprodurre il divieto di falcidia, attualmente previsto dalla norma censurata. Ciò sempre che la proposta sia maggiormente favorevole rispetto alla prospettiva liquidatoria, in termini non diversi da quanto previsto dall’attuale disciplina del concordato preventivo relativamente alla falcidia dei crediti privilegiati (attualmente ai sensi degli artt. 160 e 182-ter l.f., destinati ad essere sostituiti dagli artt. 85 e 88 del CCII).
Ebbene, partendo da queste premesse, per la Corte Costituzionale emerge l’impossibilità di accedere ad un’interpretazione dell’art. 7, primo comma, terzo periodo, L. 3/2012, conforme al diritto dell’Unione Europea, considerato che sul piano letterale, l’uso della locuzione “in ogni caso” ivi contenuta, non consente all’interprete alcun margine di manovra, precludendo la via dell’interpretazione conforme della disposizione interna ai principi e agli obiettivi espressi nella direttiva comunitaria di riferimento, non praticabile senza stravolgerne il significato letterale.
Parimenti, non è possibile nemmeno un’interpretazione costituzionalmente orientata, atteso che il tenore letterale della norma censurata, nel suo radicale rigore, preclude a monte, la possibilità sia di accedere a soluzioni interpretative costituzionalmente orientate, sia a letture alternative del complessivo quadro normativo di riferimento che, in una ottica di sistema, consentano di estendere, alle procedure di definizione preventiva del sovraindebitamento del debitore non fallibile, la specifica disciplina attualmente prevista per il concordato preventivo.
La Corte Costituzionale ha rilevato come la regola che domina le due procedure (concordato preventivo e accordo di composizione della crisi) è quella della falcidiabilità dei creditori privilegiati.
Infatti, gli artt. 160, comma 2, e 182-ter, comma 1, della legge fallimentare, per un verso, e l’art. 7, comma 1, della legge n. 3 del 2012, per altro verso, riproducono pedissequamente lo stesso schema: si deroga al principio di cui all’art. 2741 c.c. e si determina il conseguenziale sacrificio della posizione del creditore solo perché, nel realizzare la finalità esdebitatoria, viene dato comunque rilievo imprescindibile alle prospettive di effettiva soddisfazione del credito munito di prelazione, che devono essere maggiori rispetto a quella potenzialmente derivante dalla liquidazione dei beni coperti dalla prelazione.
In tale contesto, la possibilità di operare la falcidia del credito erariale, compensata dalla maggiore soddisfazione garantita rispetto alla alternativa liquidatoria, costituisce diretta espressione dei canoni di economicità ed efficienza ai quali deve conformarsi, ai sensi dell’art. 97 Cost., l’azione di esazione della Pubblica Amministrazione.
Ma a seguito della pronunzia della C.G.U.E. del 2016 in tema di falcidiabilità dell’IVA, il legislatore ha innovato la sola disciplina prevista dall’art. 182-ter l.f. nel concordato preventivo, determinando così una discrasia di sistema che in origine il legislatore aveva inteso evitare ricostruendo il contenuto della norma dettata per il sovraindebitamento del debitore non fallibile in termini sostanzialmente riproduttivi della disciplina all’epoca vigente dettata dall’art. 182-ter l.f.
La Corte Costituzionale ha chiarito che l’art. 182-ter l.f. non detta una specifica regola che possa, in via di eccezione, derogare ad un principio generale, in quanto, per contro, costituisce diretta espressione di una indicazione generale, altro non rappresentando che una diretta declinazione, in relazione alle pretese tributarie, della regola della falcidiabilità dei crediti privilegiati, prevista dall’art. 160, comma 2, l.f. in tema di concordato preventivo.
Principio, quest’ultimo, che, come già rimarcato, deve ritenersi espressione tipica delle procedure concorsuali, maggiori o minori, con finalità esdebitatoria, tanto da risultare replicato anche per gli strumenti di definizione anticipata delle situazioni di sovraindebitamento prevista dalla legge n. 3 del 2012.
Conseguentemente, la differenza di disciplina che oggi caratterizza il concordato preventivo e l’accordo di composizione dei crediti del debitore civile non fallibile dà luogo ad una ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento tale da concretare l’addotta violazione dell’art. 3 Cost.
– Avv. Filippo Greggio –