La sentenza n. 29742 pubblicata il 19.11.2018, la Corte di Cassazione – Sez. I°, rappresenta la prima pronuncia di legittimità in tema di compatibilità dello strumento dell’affitto dell’azienda con lo schema del concordato preventivo che preveda la continuità aziendale ex art. 186 bis l.f.
Successivamente all’introduzione dell’art. 186 bis l.f. ad opera dell’art. 33 comma 1 lett. h) del D.L. n. 83/2012, convertito dalla Legge n. 134/2012, su tale questione si sono formati (principalmente) due orientamenti dottrinali e giurisprudenziali di merito contrapposti (e dei quali ha dato conto sommariamente anche la Corte di Cassazione nella pronuncia in commento).
Secondo un primo orientamento, l’affitto d’azienda non rimarrebbe assorbito dalla continuità aziendale per motivi strettamente riconducibili all’interpretazione letterale dell’art. 186 bis l.f., poiché il legislatore nel definire i confini dell’istituto della continuità aziendale, ha considerato due differenti ipotesi attraverso cui è possibile esprimere una continuità “indiretta” dell’impesa: la cessione ed il trasferimento, mentre non ha previsto l’affitto. Accanto a tale argomentazione vi è anche la considerazione che il “rischio” d’impresa costituisce un elemento imprescindibile (e caratterizzante) della continuità aziendale. Pertanto l’art. 186 bis l.f. non trova applicazione nel caso di affitto dell’azienda a terzi in quanto il rischio è trasferito all’affittuario, mentre di contro dovrebbe permanere in capo al debitore onde configurare il concordato come in continuità aziendale.
Secondo tale orientamento un distinguo può essere operato, al più, nel caso in cui l’affitto abbia inizio dopo l’apertura della procedura di concordato, in quanto in questa ipotesi il rischio d’impresa graverebbe temporaneamente sui creditori, così giustificando la produzione con il piano di concordato di un business plan dell’azienda che indichi i risultati da cui dipende la “migliore soddisfazione dei creditori”, mentre l’affitto d’’azienda stipulato anteriormente all’apertura della procedura di concordato potrebbe essere compatibile solo con il concordato di tipo liquidatorio in quanto l’affittante si limiterebbe a percepire i relativi canoni d’affitto.
Quindi tale orientamento privilegia l’elemento soggettivo ai fini della configurabilità del concordato in continuità aziendale ex art. 186 bis l.f.
Un altro orientamento dottrinale e giurisprudenziale di merito ha fatto leva sull’elemento oggettivo della prosecuzione dell’attività d’impresa, indipendentemente dal soggetto che la prosegue.
Questa posizione privilegia l’azienda quale entità socio-economica favorendo la funzionalità dell’impresa più che il mantenimento della conduzione soggettiva: la nozione di “continuità” si amplia ricomprendendo, pertanto, sia la fattispecie della prosecuzione dell’attività in capo all’imprenditore che richiede l’accesso al beneficio del concordato, sia quella della continuità mediata dal trasferimento del complesso aziendale ad un soggetto terzo. Seguendo questo diverso filone interpretativo, perché si configuri la fattispecie di cui all’art. 186 bis l.f. assume rilievo il fatto che l’azienda sia in esercizio (indipendentemente se ad opera dell’imprenditore medesimo o di un terzo), tanto al momento dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo, quanto all’atto del suo successivo trasferimento.
Per tale orientamento il tema del rischio d’impresa trasferito sull’affittuario viene ridimensionato, in quanto l’affittante, a seguito della concessione in godimento a terzi dell’impresa, rimane comunque esposto a svariati rischi, essendo incontestabile che il rischio d’impresa continui a gravare, seppur indirettamente, sul soggetto in concordato e che l’andamento dell’azienda affittata incida sulla fattibilità del piano.
La Corte di Cassazione ha preso una posizione netta (e si ritiene chiarificatrice) sulla tematica, ripercorrendo in prima battuta le considerazioni di carattere generale desumibili dalle opinioni dottrinali finora sviluppatesi in relazione alla fattispecie del concordato in continuità aziendale e giungendo a rilevare che con Legge 134/2012 il legislatore abbia inteso favorire la prosecuzione dell’attività d’impresa in senso tanto soggettivo quanto oggettivo.
Secondo la Corte, è necessario fare riferimento ad una continuità in senso più marcato (“forte”) ove il piano concordatario preveda il pagamento dei creditori attraverso la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del debitore, oppure in senso meno evidente (“debole”) nel caso in cui il piano concordatario preveda il pagamento dei creditori attraverso una serie di attività strumentali alla cessione dell’azienda in esercizio, come l’affitto d’azienda (eventualmente anche non accompagnato da una proposta irrevocabile d’acquisto da parte dell’affittuario). Tanto più “debole” sarà la continuità quanto più probabile e prossima sarà la perdita di contatto dell’imprenditore con la propria azienda.
Parimenti, anche il contenuto del piano stesso e della relazione di attestazione ex artt. 161 terzo comma e 186 bis secondo comma lett. b) l.f. dovranno essere più puntuali e penetranti quanto più la continuità possa dirsi “forte“.
In quest’ultimo caso infatti ancora maggiore dovrà essere la possibilità per il Tribunale di controllore in modo puntuale non solo la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 186 bis secondo comma lett. a) l.f. e così la formazione di crediti prededucibili, ma anche la permanenza del vantaggio per i creditori nella continuità rispetto alla liquidazione (e questo soprattutto con riferimento al periodo successivo all’omologazione del concordato, quando il controllo del Tribunale scompare definitivamente, salvo ricostituirsi in caso di azione di risoluzione del concordato).
Per quanto attiene al profilo della valorizzazione in termini oggettivi della prosecuzione dell’attività d’impresa, la Corte di Cassazione ha ritenuto che sia del tutto indifferente la circostanza che al momento dell’ammissione al concordato o del deposito della domanda, l’azienda sia esercitata dal debitore o, come nel caso d’affitto della stessa, da un terzo, in quanto in ogni caso il contratto d’affitto costituisce un semplice strumento per giungere alla cessione o al conferimento dell’azienda stessa senza il rischio della perdita dei valori intrinseci, primo tra tutti l’avviamento che un suo arresto, anche momentaneo, produrrebbe in modo irreversibile.
Pertanto, secondo la Corte, ogni qualvolta la prosecuzione dell’attività di impresa da parte dell’affittuario (a prescindere dal momento di stipulazione del contratto d’affitto) sia rilevante ai fini del piano, e cioè influenzi la soddisfazione dei creditori concorsuali, il concordato preventivo dovrà essere qualificato come un concordato in continuità aziendale e sarà quindi soggetto alle disposizioni di cui all’art. 186 bis l.f.
Per la Corte appare chiaro che il legislatore ha inteso porre l’attenzione all’”azienda in esercizio”, indipendentemente dalla circostanza che essa sia condotta dal debitore o da soggetti diversi, favorendo il risanamento “diretto” o “indiretto” dell’impresa ed attraverso il suo mantenimento in esercizio il pagamento dei creditori concorsuali. Sicchè ogni negozio giuridico prodromico e funzionale al risanamento medesimo, come l’affitto d’azienda, deve essere assoggettato alla disciplina della continuità aziendale.
In tale contesto, l’impiego dello strumento dell’affitto dell’azienda quale tappa di un percorso volto alla ricollocazione dell’impresa competitiva sul mercato, giustifica anche l’applicabilità in tali casi dell’art. 182 quinquies l.f. (essendo pacifica l’applicabilità delle altre agevolazioni normative, quali quelle sulla continuità contrattuale e sulla moratoria annuale per il pagamento dei creditori prelatizi, previste dall’art. 186 bis l.f.), ossia della possibilità del pagamento – da parte del debitore in concordato – di crediti anteriori per prestazioni di beni o di servizi anche nell’ipotesi di continuità ad opera di un terzo mediante l’affitto dell’azienda.
Da ultimo, la Corte di Cassazione ha richiamato anche la previsione contenuta nella Legge Delega n. 155/2017 che sancisce all’art. 2, primo comma lett. g) che la continuità aziendale può essere assicurata anche tramite un diverso imprenditore, precisando, al successivo art. 6, primo comma lett. i) n. 3), che le norme sul concordato in continuità si applicano anche nei casi in cui l’azienda sia oggetto di contratto d’affitto, anche se stipulato anteriormente alla domanda di concordato.
Per la Corte di Cassazione anche il affitto c.d. “puro”, cioè che non risulti prodromico alla cessione dell’azienda, ma alla sua semplice dislocazione in capo all’affittuario, con successiva retrocessione – durante la fase esecutiva del piano o al termine di essa – al debitore, rientra nell’alveo della disciplina della continuità aziendale ex art. 186 bis l.f, non avendo senso annettere tale fattispecie all’ipotesi del concordato liquidatorio, posto che il piano consente il ritorno in bonis dell’imprenditore addossando temporaneamente a terzi gli oneri ed i rischi connessi all’esercizio dell’attività, senza che vi sia, tendenzialmente, alcuna dismissione di cespiti aziendali.
In conclusione, la Corte ha affermato il principio di diritto in base al quale il concordato in continuità aziendale ex art. 186 bis l.f. è configurabile anche quando l’azienda sia già stata affittata o sia destinata ad esserlo, ritenendo del tutto indifferente la circostanza che, al momento dell’ammissione della società debitrice alla procedura di concordato o del deposito della relativa domanda, l’azienda sia esercitata dall’imprenditore stesso o da un terzo, in quanto il contratto d’affitto (sia nel caso dell’affitto “puro”, ossia non recante l’obbligo dell’affittuario a procedere con l’acquisto dell’azienda, sia nel caso dell’affitto “ponte”, ossia strumentale alla cessione dell’azienda in esercizio) può costituire lo strumento per giungere o alla cessione o al conferimento dell’azienda senza rischio di perdita dei suoi valori intrinseci, primo tra tutti l’avviamento che, un suo arresto, ancorché momentaneo, rischierebbe di produrre in modo irreversibile.
Avv. Filippo Greggio