In tema di concordato fallimentare, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno statuito l’esclusione dal diritto di voto e dal calcolo delle maggioranze le società appartenenti allo stesso gruppo della proponente a causa della potenziale sussistenza di un conflitto di interessi.
Con la sentenza del 28.6.2018, n. 17186, le Sezioni Unite, propendendo per un’interpretazione estensiva della norma di cui all’art. 127, sesto comma, L.Fall., hanno affermato il seguente principio di diritto: ”sono escluse dal voto sulla proposta di concordato fallimentare e dal calcolo delle maggioranze le società che controllano la società proponente o sono da essa controllate o sono sottoposte a comune controllo”.
Il caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte ha ad oggetto la proposta di concordato fallimentare ex art. 124 L.Fall. avanzata da due Società nei confronti di una terza facente parte del medesimo gruppo.
All’omologazione della proposta concordataria si sono opposti due dei creditori della fallita e due ex soci rilevando come essa fosse stata approvata con il voto determinante delle due Società creditrici, che, appartenendo allo stesso gruppo di cui faceva parte la fallita, avrebbero dovuto essere escluse dal diritto di voto.
In forza dell’opposizione avanzata, il Tribunale di Roma con decreto del 15.3.2011 ha negato l’omologazione del piano concordatario.
Avverso il predetto provvedimento di diniego è stato proposto reclamo innanzi la Corte d’Appello che, non ritenendo configurabile un conflitto d’interesse nella procedura concordataria, ha accolto il reclamo.
La Suprema Corte successivamente adita, procedendo step-by-step, ha ritenuto in primis di dover risolvere la questione pregiudiziale relativa alla spettanza del diritto di voto al creditore che ha avanzato la proposta di concordato fallimentare.
Una risposta a tale questione era già stata fornita, in senso negativo, dalla Prima Sezione della stessa Corte con la pronuncia n. 3274 del 2011, allorquando i Giudici di legittimità avevano osservato l’inconfigurabilità nel concordato fallimentare di una situazione analoga a quella descritta dall’art. 2373 cod. civ., atteso che “il fallimento non è un soggetto giuridico autonomo di cui i creditori sono partecipi e il complesso dei creditori è costituito in modo del tutto casuale e involontario così che non è avvinto da alcun patto che comporti la necessità di valutare un interesse comune trascendente quello dei singoli”.
Distaccandosi da tale orientamento le Sezioni Unite con la pronuncia in esame hanno, invece, affermato che pur “osservandosi la mancanza nella legge fallimentare di una norma generale analoga a quella di cui all’art. 2373 c.c. […] ciò non significa che nel concordato non siano configurabili conflitti d’interessi in relazione al voto dei creditori […]”; infatti, “perché sia configurabile un conflitto di interessi di un soggetto, in quanto parte di una collettività, è invero sufficiente il contrasto di un suo interesse individuale con quello comune all’intera collettività, mentre non è necessario che quest’ultima costituisca un distinto soggetto o centro d’imputazione di situazioni giuridiche”.
Ciò posto, dall’orientamento accolto dalle Sezioni Unite consegue che l’assenza nella legge fallimentare di una regola analoga a quella dell’art. 2373 cod. civ. non autorizza di per sé ad escludere la rilevanza di altre ipotesi non espressamente indicate dalla legge, ma ricavabili dalla sua corretta interpretazione.
Alla luce di tali precisazioni, la Suprema Corte ha inoltre statuito che tra il soggetto proponente e i creditori chiamati ad accettare la proposta concordataria “vi è un contrasto di interessi di carattere immanente, coessenziale alle loro stesse qualità, essendo l’uno propriamente qualificabile come controparte degli altri: interessato, il primo, a concludere l’accordo con il minor esborso possibile, e gli altri, all’opposto, a massimizzare la soddisfazione dei loro crediti”.
Se è, dunque, su tale assunto che “va interpretato il silenzio del Legislatore” è logico ammettere l’esclusione del creditore proponente il concordato fallimentare dal diritto di voto finalizzato all’approvazione dello stesso.
Infine, le Sezioni Unite a conclusione del proprio iter argomentativo analizzano la questione relativa alla legittimazione al voto concordatario delle società correlate alla società proponente, ritenendo preferibile una interpretazione estensiva della norma di cui all’art. 127, sesto comma, L.Fall.
La norma in questione prevede l’estensione della disciplina di cui al precedente comma quinto (soggetti esclusi dal diritto di voto e dal computo delle maggioranze nel concordato) anche alle società controllanti o controllate o sottoposte a comune controllo. Ed infatti, “propendere, diversamente, per un’interpretazione non estensiva del sesto comma dell’art. 127 L.Fall. comporterebbe -scrivono le Sezioni Unite- ingiustificabili lacune e contraddizioni nella disciplina del conflitto d’interesse nel voto concordatario”.
dott. Andrea Zanellato