Con l’ordinanza n. 27538 del 28.10.2019 la Suprema Corte di Cassazione ha riconosciuto che il credito del professionista (nel caso di specie advisor legale) che ha prestato la propria attività a favore di un’impresa ammessa alla procedura di concordato preventivo, in seguito revocata per difetto di fattibilità giuridica ex art. 173 ultimo comma l.f., deve essere ammesso con il beneficio della prededuzione ex art. 111 secondo comma l.f. nel successivo fallimento.
L’intervento si inserisce nel solco di una linea interpretativa ormai consolidatasi presso la giurisprudenza di legittimità, volta ad affrancare la categoria dei crediti prededucibili in ragione della funzionalità dal presupposto di un controllo giudiziale sull’utilità dell’attività prestata dal professionista advisor.
La Suprema Corte di Cassazione, riepilogate le principali pronunzie che formano l’orientamento di legittimità dianzi precisato, è giunta a ribadire il principio secondo cui il credito del professionista che abbia svolto la funzione di advisor legale nella predisposizione della domanda di concordato rientra tra i crediti sorti “in funzione” della procedura e, come tale, a norma dell’art. 111, comma 2, l.f. va soddisfatto in prededuzione nel successivo fallimento senza che, ai fini di tale collocazione, debba essere accertato con valutazione ex post, che la prestazione resa sia stata concretamente utile per la massa in ragione dei risultati raggiunti (cfr., ex multis, Cass., 21.11.2018 n. 30114. Cass. 30.3.2018 n.7974; Cass. 21.11.2017 n. 27694; Cass. 9.8.2017, n. 19912; Cass. 11.3.2017 n. 6517; Cass. 10.1.2017 n. 280).
Invero, la Suprema Corte di Cassazione ha evidenziato che la collocazione in prededuzione rappresenta un’eccezione al principio della par condicio creditorum che intende favorire il ricorso a forme di soluzione concordata della crisi d’impresa e rimane soggetta alla verifica delle sole condizioni previste dall’art. 111 secondo comma l.f., tra le quali non vi rientra il criterio dell’utilità concreta per la massa, la quale non deve perciò essere in alcun modo indagata.
Alla luce di questo, nella fattispecie oggetto di esame, la Corte ha ritenuto che dalla revoca dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo per difetto di fattibilità giuridica ex art. 173 ultimo comma l.f. non possa desumersi l’inesistenza del nesso di funzionalità tra prestazione e procedura, in quanto la valutazione di tale rapporto di strumentalità deve essere compiuta verificando se l’attività professionale prestata possa essere ricondotta nell’alveo della procedura concorsuale minore e delle finalità dalla stessa perseguite, secondo un giudizio ex ante.
La valutazione dei vizi che hanno minato l’iniziativa di risanamento e dell’imputazione degli stessi alla prestazione del creditore istante, in una prospettiva che è necessariamente posteriore allo svolgimento dell’incarico, pertanto, intercetta un piano diverso rispetto a quello della mera funzionalità, ossia quello dell’esattezza dell’adempimento e della conseguente utilità in concreto che la prestazione era in grado di procurare, profilo che attiene alla sola esistenza e consistenza del credito.
Con la conseguenza che tale profilo di indagine si pone al di fuori dei parametri di valutazione da cui l’art. 111, comma 2, l.f. fa discendere la collocazione del credito in prededuzione e che attengono al collegamento funzionale tra la prestazione professionale resa e la procedura concordataria.
– Dott.ssa Giulia Cavallarin –