La Corte di Cassazione con sentenza n. 26005 del 2.7.2018 e pubblicata il 17.10.2018 ha statuito l’inammissibilità della proposta di concordato avanzata da parte di società fra loro collegate da vincolo di direzione e controllo che preveda la cessione parziale dei beni anziché la messa a disposizione di tutti i patrimoni.
Nel caso di specie, le società (ben undici) avevano avanzato una proposta di concordato con funzione liquidatoria, prevedendo che il ricavato della cessio bonorum di due di tali società fosse destinato, per la parte che residuava dopo il soddisfacimento dei relativi creditori, alle pretese dei creditori delle altre società del gruppo.
Ebbene, la Suprema Corte ha confermato la pronuncia di seconde cure della Corte d’appello di Roma, osservando che il concordato con cessione solo parziale dei beni realizza una violazione dell’art. 2740 cod. civ., in quanto l’effetto esdebitatorio presuppone la messa a disposizione dei creditori di tutte le attività del debitore.
Secondo la Corte proprio la presenza di tale effetto spiega l’inapplicabilità della disciplina dettata dall’art. 1977 cod. civ., che invece consente al debitore di cedere «tutte o alcune sue attività».
Invero, il concordato liquidatorio si differenzia dal contratto di cessione di beni di cui all’art. 1977 cod. civ. che consente al debitore di incaricare i suoi creditori di liquidare “tutte o alcune” delle sue attività, al fine di ripartirne il ricavato in soddisfacimento dei loro crediti. La cessione, infatti, è priva dell’effetto esdebitatorio tipico del concordato e consente ai cessionari di agire anche sulle attività non cedute.
Per la Corte, la differenza si coglie anche rispetto al c.d. “concordato in continuità aziendale” ex art. 186-bis l.f., nel quale la cessione parziale dei beni è possibile poiché funzionale alla prosecuzione dell’attività.
Peraltro, risulterebbe non convincente il ragionamento effettuato in senso contrario, ossia mediante la valorizzazione della natura negoziale del concordato e del carattere “disponibile” degli interessi in gioco, in quanto ciò consentirebbe al debitore di stabilire liberamente il contenuto della proposta, soggiacendo così alla sola valutazione circa la convenienza economica dei creditori.
Secondo la Corte, posto che nel concordato di tipo liquidatorio la cessione dei beni deve investire la totalità dei beni del debitore, in conformità con l’orientamento prevalente della stessa giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., 13.07.2018, n. 18761 e Cass.,13.10.2015, n. 20559), è inammissibile la proposta unitaria di concordato presentata da tutte le società del gruppo che preveda l’attribuzione ai creditori di ciascuna società solo di parte del patrimonio di questa.
Pertanto, il concordato preventivo può essere proposto unicamente da ciascuna delle società appartenenti al gruppo davanti al tribunale territorialmente competente per ogni singola procedura, senza possibilità di confusione delle masse attive e passive.
In questa prospettiva la separazione delle masse attive e passive costituisce – considerato anche il meccanismo di formazione delle maggioranze – un dato imprescindibile della normativa. Sul punto, la Corte ha evidenziato che anche nella Legge Delega n. 155/2017 (c.d. “Riforma Rodorf”) all’art. 3 primo comma lett. d), pur essendo prevista in tema di gruppi d’impresa la facoltà di proporre con un unico ricorso la domanda di ammissione al concordato preventivo o di liquidazione giudiziale, in ogni caso è stata ribadita la necessità dell’autonomia delle rispettive masse attive e passive.
Cassazione 17 ottobre 2018 n. 26005
Dott. Andrea Zanellato