Il Tribunale di Padova con sentenza del 16.01.2020 ha dichiarato ex art. 121 l.fall. la riapertura di un fallimento per la presenza di attività nel patrimonio del fallito, originando, in tal modo, alcuni risvolti giuridici di particolare interesse nell’interpretazione dell’art. 72-quater l.fall.- Tuttavia, prima di procedere ad analizzare il merito della pronuncia in parola appare doveroso un succinto richiamo alla disciplina di riferimento.
Come è noto la riapertura del fallimento è subordinata all’accertamento della sussistenza dei requisiti e delle condizioni previsti all’art. 121 l.fall., ontologicamente differenti rispetto a quelli dell’apertura del fallimento.
Non risulta, infatti, necessaria ai fini della riapertura del fallimento la dimostrazione dell’esistenza dei presupposti (soggettivo e oggettivo) che hanno dato origine alla dichiarazione di fallimento (ex artt. 1 e 5 l.fall.) e neppure che detti presupposti si realizzino ex novo (si vedano ex multis in giurisprudenza Cass. 20.9.2017, n. 21846; Cass. S.U. 2.11.2007, n. 23032 ed in dottrina G. Lo Cascio, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Milano, 2007, 770; G.U. Tedeschi, Della chiusura del fallimento, in Commentario Scialojia-Branca. Legge fallimentare, Bologna-Roma, 1977, 90).
Di talché i presupposti della riapertura del fallimento consistono segnatamente in una precedente dichiarazione di fallimento e nella circostanza che la procedura fallimentare sia stata chiusa (con decreto divenuto definitivo) per taluno dei casi preveduti all’interno dei numeri 3 e 4 dell’art. 118 l.f.-
Ai predetti presupposti se ne aggiungono due ulteriori di carattere negativo; invero, l’articolo in commento richiede: i) espressamente che non siano decorsi più di cinque anni dalla chiusura del fallimento, ovverosia dal momento in cui il decreto di chiusura ha acquistato efficacia; ii) ed implicitamente che il fallimento non sia stato revocato, non potendosi determinare una riapertura di una procedura che debba considerarsi come mai aperta.
Non è richiesto, dunque: che il soggetto fallito sia tuttora imprenditore commerciale “fallibile”, né che abbia riacquistato tale qualità; che non sia decorso l’anno dalla cancellazione dal registro delle imprese ex art. 10 l.fall.; ed infine, che il debitore sia tuttora insolvente o sia ricaduto nuovamente in stato di insolvenza (Cfr. G.U. Tedeschi, Della chiusura del fallimento, cit., 90 ss.).
Oltre ai requisiti poc’anzi esposti la disposizione di cui all’art. 121 l.fall. subordina la riapertura del fallimento alla sussistenza di due condizioni tra loro alternative, ovverosia: i) che “nel patrimonio del fallito esistano attività in misura tale da rendere utile il provvedimento”; e ii) che il fallito offra “garanzia di pagare almeno il 10 per cento ai creditori vecchi e nuovi”.
Nel caso de quo la parte ricorrente – nel ricorso per la riapertura del fallimento ex art. 121 l.fall presentato dinanzi al Tribunale di Padova – asserisce la sussistenza di tutti i requisiti supra analizzati e, con riferimento alle ulteriori due condizioni testé ricordate, il perfezionamento della prima, risultando infatti attività idonee a soddisfare i creditori rimasti impagati in sede di riparto. In particolare, trattasi nel caso concreto di una somma che un istituto bancario deve restituire alla Curatela del fallimento ai sensi dell’art. 72-quater a seguito di conferimento di immobile, oggetto di un precedente contratto di locazione finanziaria immobiliare – risolto ante fallimento – all’interno di un Fondo Comune di Investimento Immobiliare di tipo chiuso, mediante la sottoscrizione di un atto di apporto.
L’art. 72-quater, comma 2, l.fall. – applicabile altresì ai contratti di leasing risolti in data antecedente alla dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore (Cfr. Cass. 29.3.2019, n. 8980) – dispone che “in caso di scioglimento del contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare alla curatela l’eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso […]”.
Nel caso concreto, conformemente con quanto affermato dalla parte ricorrente, nonostante l’atto di apporto di beni ad un fondo non possa qualificarsi come una compravendita in senso proprio, esso produce, comunque, il medesimo effetto traslativo della proprietà tipico della compravendita. A conferma di ciò è possibile ricordare che ai fini fiscali l’atto di apporto di una pluralità di beni immobili ad un fondo di investimento risulta essere assimilabile alla fattispecie della cessione d’azienda (Cfr. Parere Agenzia delle entrate risposta n. 71/2018). Da ciò, ne discende che al di là del nomen iuris utilizzato dalle parti dell’atto di apporto, il conferimento del bene immobile all’interno del Fondo Comune di Investimento effettuato dall’istituto di credito, supra citato, possa essere assimilato alla “vendita” di cui all’art. 72-quater l.fall.-
Il Tribunale Patavino in ordine alle rilevanti questioni giuridiche sollevate e dalla parte ricorrente e da quella resistente – una volta verificato il rispetto del presupposto temporale infraquinquennale – ha: in primo luogo, statuito che la mera espressione “patrimonio del fallito” contenuta nell’art. 121 l.f. non giustifichi l’interpretazione per la quale risulterebbero rilevanti allo scopo le sole azioni riconducibili già al fallito e non le azioni della massa, come potrebbe qualificarsi l’azione ex art. 72 quater l.fall., atteso che “non parrebbe ragionevole aprire il fallimento per le azioni che il fallito tornato in bonis potrebbe esercitare e non aprirlo invece per le azioni che solo il curatore potrebbe avviare nell’interesse dei creditori”; in secondo luogo, ha affermato – conformandosi al più recente orientamento giurisprudenziale (oramai consolidato) – che risulta incontestabile l’esperibilità del rimedio ex art. 72-quater l.fall. anche nel caso di risoluzione del contratto di leasing antecedentemente al fallimento; ed infine, ha stabilito che il conferimento di un bene all’interno di un fondo di investimento chiuso non possa essere considerata circostanza neutra per la fattispecie normativa invocata dalla parte ricorrente “soprattutto se si valorizza la tesi – allo stato pur solo dottrinale – per cui assume rilevo anche la scelta della società di leasing di trattenere per sé l’immobile”.
Secondo tali considerazioni il Tribunale di Padova, nell’affermare la ricorrenza di tutti i presupposti di cui all’art. 121 l.fall. e nella dichiarazione di riapertura del fallimento, ha stabilito delle fondamentali linee ermeneutiche per il funzionamento dell’istituto in parola (rectius quello previsto dall’art. 121 l.fall) alla luce di una corretta interpretazione e – soprattutto – applicazione dell’art. 72-quater l.fall.-
sentenza riapertura fallimento
Dott. Andrea Gambarotto