Concetto Spaziale, Attese 1964-1965

Lucio Fontana, Milano Collezione Privata

Listening to the wind of change
The world is closing in
Did you ever think
That we could be so close, like brothers

The future’s in the air
Can feel it everywhere
Blowing with the wind of change

Take me to the magic of the moment
On a glory night
Where the children of tomorrow dream away
In the wind of change

(Scorpions – Wind Of Change)

 

 

  1. History will judge you.

Si è appena concluso a Roma il G20. In una cornice magnifica (da “Grande bellezza”), contornati dai Fori Imperiali, il Colosseo, la Cappella Sistina (l’elenco potrebbe andare avanti all’infinito) … i leader mondiali (ad eccezione di Xi Jinping e Vladimir Putin), anche in vista della Climate Change Conference (COP26) di Glasgow (attualmente in corso), hanno tentato di trovare un accordo al fine di invertire l’inesorabile rotta del cambiamento climatico. Una vera e propria “chiamata alle armi”, come è stata da più parti definita, per combattere ciò che rappresenta una (delle più gravi) minacce esistenziali degli ultimi tempi.

Le conseguenze sono visibili a tutti: le temperature stanno raggiungendo picchi massimi, gli oceani si stanno riscaldando, i ghiacciai via via si stanno riducendo. Le conseguenze per la salute umana nel medio-lungo periodo si appalesano disastrose e gli scenari assai critici.

Ciononostante, in questo scenario per vero apocalittico, fissare impegni precisi e condivisi da tutti i Paesi per l’abbattimento delle emissioni di gas serra è apparso sin dal principio assai complesso: l’obiettivo “emissioni zero” entro il 2050 – come richiesto da Usa ed Europa – è stato una deadline fortemente osteggiata da Cina, Russia e India, che stanno rivendicano il loro “diritto di inquinare” come fatto, prima di loro, da quegli stessi Paesi che oggi impegnati in prima linea per combattere l’emergenza climatica.

Non si tratta però di una gara. Non c’è più tempo. E così per la prima volta i Paesi G20 si sono impegnati a (tentare di) contenere il surriscaldamento al di sotto dei 1,5 gradi ponendo in essere nuove azioni (anche) immediate unitamente ad impegni a medio termine.

Il Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi ha precisato che sul carbone i finanziamenti pubblici non andranno oltre la fine di quest’anno, definendosi “orgoglioso” dell’accordo raggiunto ancorché si sia mantenuto un vago riferimento al raggiungimento delle zero emissioni “entro metà secolo”.

D’improvviso il mondo intero, anche sulla spinta delle giovani generazioni più sensibili a questi temi, sembra aver preso coscienza della gravità del problema e sembrano essere state gettate le basi per la ricerca di soluzioni concrete (i.e. stanziare denari, aiutare i Paesi in via di sviluppo, proteggere e conservare il patrimonio naturalistico). La strada da percorrere è ancora lunga ed occorre reagire con rinnovata determinazione rispetto a quanto fatto finora, ma per la prima volta parrebbe esserci maggiore consapevolezza da parte di tutti, anche dei Paesi più inquinanti: siamo a un punto di non ritorno.

  1. Habemus Lex.

Mentre si cerca di risolvere l’emergenza climatica, in data 21.10.2021 il D.L. 118/2021 (recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa) è stato convertito in legge (n. 147/2021 pubblicata in GU in data 23.10.2021).

Come noto il D.L. 118/2021 ha introdotto, tra l’altro alcune modifiche alla legge fallimentare (previste dall’art. 20, comma 1 DL 118/2021) ed aventi ad oggetto principalmente la disciplina del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti.

Con particolare riferimento a tale ultima categoria di novelle, l’art. 20 del DL 118/2021 ha modificato l’art. 182 septies l.f. introducendo l’istituto degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa ed inserito l’art. 182 novies l.f. che disciplina gli accordi di ristrutturazione agevolati.

Novità in vigore dal giorno successivo della pubblicazione del DL e quindi dal 25.8.2021.

Obiettivo dichiarato della riforma è quello di scommettere sull’emersione anticipata della crisi rimessa, a seguito del rinvio delle procedure di allerta, all’iniziativa del solo debitore, mediante l’accesso allo strumento della composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, destinato ad operare sul piano negoziale, ma che non esclude l’intervento dell’organo giurisdizionale relativamente all’applicazione delle misure protettive e cautelari (art. 6 e 7) e/o al regime delle autorizzazioni (art. 10).

Appare quindi necessario un cambio di passo (e di mentalità) dell’imprenditore, il quale può (e deve) attivarsi “prima che sia troppo tardi” ovvero prima che la situazione di squilibrio economico/finanziario si tramuti in una insolvenza (irreversibile).

Invero l’emersione precoce della crisi consentirebbe di agevolare il salvataggio dell’impresa e conseguentemente la salvaguardia dei posti di lavoro al contempo garantendo la continuità aziendale. La disciplina che il legislatore delegante si propone di introdurre va salutata con favore costituendo un deciso passo in avanti nella regolazione del diritto concorsuale, non più in punto di emergenza (ovvero di gestione dell’insolvenza), bensì (soprattutto) in punto di prevenzione (ovvero di gestione della crisi).

  1. Gli Accordi di Ristrutturazione “ad efficacia Estesa”.

Gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa prevedono la possibilità per il debitore di pianificare l’uscita dalla crisi, suddividendo i propri creditori in categorie (formate nel rispetto dell’omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici).

Al precipuo fine di agevolarne la conclusione delle trattative, l’art. 182 septies l.f. consente al debitore di pervenire al perfezionamento dell’accordo, nonostante il dissenso o il disinteresse di uno o più dei creditori, estendendo ai non aderenti l’efficacia dell’accordo purché gli aderenti rappresentino il 75% dei crediti di ciascuna categoria. Con buona pace del principio consensualistico proprio dei contratti: artt. 1372 e 1411 c.c.-

L’estensione dell’accordo ai non aderenti è tuttavia subordinata non soltanto al raggiungimento della percentuale del 75% degli aderenti in ogni categoria ma finanche laddove si riscontrino gli ulteriori seguenti presupposti indicati al secondo comma dell’art. 182 septies l.f.:

a) tutti i creditori appartenenti alla categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative, siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e abbiano ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull’accordo e sui suoi effetti;

b) l’accordo preveda la prosecuzione dell’attività d’impresa in via diretta o indiretta;

c) i crediti dei creditori aderenti appartenenti alla categoria rappresentino il 75 per cento di tutti i creditori appartenenti alla categoria, fermo restando che un creditore può essere titolare di crediti inseriti in più di una categoria;

d) i creditori della medesima categoria non aderenti ai quali sono estesi gli effetti dell’accordo possano risultare soddisfatti in base all’accordo stesso in misura non inferiore rispetto all’alternativa liquidatoria;

e) il debitore abbia notificato l’accordo, la domanda di omologazione e i documenti allegati ai creditori nei confronti dei quali chiede di estendere gli effetti dell’accordo.

In nessun caso, precisa il comma terzo della disposizione in commento, per effetto dell’accordo di ristrutturazione ai creditori ai quali è stato esteso l’accordo possono essere imposti l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti. E a tal fine non è considerata “nuova prestazione” la prosecuzione della concessione del godimento di beni oggetto di contratti di locazione finanziaria già stipulati.

Innovando rispetto al passato gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa non sono più un’opportunità riservata all’impresa che ha debiti verso banche e intermediari finanziari in misura non inferiore alla metà dell’indebitamento complessivo, ma diventano, se funzionali alla continuità aziendale diretta o indiretta, un istituto utilizzabile con tutti i creditori.

Se da un lato il Legislatore, in controtendenza rispetto alle precedenti novelle, prevedendo l’estensione degli accordi ai creditori non aderenti ha dimostrato di essere debtor oriented, dall’altro il faro della miglior soddisfazione del ceto creditorio è rimasta inalterato dalla previsione contenuta al secondo comma lett. d) dell’art. 182 septies l.f. il quale impone che l’estensione sia subordinata soltanto nel caso in cui la soddisfazione ottenuta in base all’accordo non risulti inferiore rispetto all’alternativa liquidatoria[1].

La nuova disciplina, non riservando più lo strumento degli accordi ad efficacia estesa ai rapporti debitori con banche ed intermediari finanziari e quindi generalizzandone l’applicazione al ricorrere delle condizioni sopra esaminate, rende di fatto, gli accordi di ristrutturazione con banche ed intermediari finanziari, una sottocategoria degli accordi in estensione.

Laddove invece l’indebitamento complessivo dell’impresa sia stato contratto “in misura non inferiore alla metà” (art. 182 septies l.f. comma quinto) nei confronti di banche ed altri intermediari finanziari l’accordo di ristrutturazione dei debiti può individuare una o più categorie tra tali tipologie di creditori che abbiano fra loro posizione giuridica ed interessi economici omogenei ed al debitore è consentito estendere gli effetti dell’accordo medesimo ai creditori non aderenti appartenenti alla medesima categoria anche nel caso in cui non sia prevista la continuità aziendale (diretta o indiretta) ossia in una prospettiva prettamente liquidatoria.

In ogni caso va rilevato che sebbene l’“agevolazione” dell’estensione pur risultando astrattamente riferibile anche all’accordo liquidatorio, sembra destinata a trovare applicazione in via elettiva nell’ambito di ristrutturazioni aziendali connotate da un minor grado di gravità della crisi e affrontate tempestivamente in funzione della preservazione del going concern in una prospettiva che, nella maggior parte dei casi, sarà riconducibile alla continuità aziendale diretta.

  1. Accordi Di Ristrutturazione “Agevolati”.

Non appare corretto ritenere tale istituto una “figura autonoma” rispetto alla fattispecie degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.f., configurandosi più propriamente quale ipotesi speciale in cui è previsto la dimidiazione della percentuale minima (del 60%) richiesta dall’art. 182 bis l.f. ai fini della conclusione dell’accordo.

Lo scopo è quello di favorire l’accesso alla procedura evitando che l’accordo sia ostacolato o impedito da parte dei creditori che, facendo affidamento sul peso decisivo del proprio credito, abbiano quale scopo non già l’integrale soddisfazione del proprio credito – comunque dovuto nel caso non aderissero – bensì quello di conseguire ulteriori vantaggi dall’impresa che si trovi in stato di crisi.

Gli accordi di ristrutturazione agevolati possono essere conclusi tra l’imprenditore ed i creditori che rappresentino almeno il trenta percento dei crediti e, secondo un meccanismo premiale, la possibilità di avvalersi della ridotta percentuale di adesioni è subordinata:

i. alla rinuncia alla moratoria del pagamento dei creditori estranei[2];

ii. alla mancata presentazione del ricorso contenente domanda di concordato[3];

iii. alla mancata richiesta di sospensione dell’avvio o della continuazione di azioni cautelari o esecutive[4].

I limiti previsti all’applicazione dello strumento evidenziano come gli accordi di ristrutturazione agevolati siano azionabili nell’ambito di realtà imprenditoriali efficienti poiché le rinunce, previste quali requisito di accesso alla fattispecie sono, nel concreto, praticabili esclusivamente dall’imprenditore che si sia attivato tempestivamente, prima dei propri creditori, al fine di affrontare la crisi d’impresa.

  1. Il rapporto con i social.

Un cambio di passo sembra necessario anche con riferimento al rapporto con i social network.

È di pochi giorni la notizia secondo la quale Instagram sarebbe pericoloso per la salute mentale degli adolescenti, tanto che il Ceo di Facebook (ora Meta) proprietario di Instagram, Mark Zuckerberg, sarebbe stato sentito in un’audizione al Congresso nel marzo 2021 nel corso della quale gli è stato chiesto di riferire sull’uso dei social da parte dei bambini e della salute mentale:

https://www.ilsole24ore.com/art/instagram-e-pericoloso-la-salute-mentale-ragazze-e-facebook-sa-AEtfIyi

Ed ancora nel 2019 Amnesty International ha definito il suo modello di business «basato sulla sorveglianza» lesivo della privacy e «una minaccia di carattere sistemico per una serie di altri diritti tra i quali la libertà di opinione ed espressione, la libertà di pensiero e i diritti all’uguaglianza e alla non discriminazione»:

https://www.amnesty.it/privacy-online-facebook-e-google-sono-un-pericolo-per-i-diritti-umani/

L’algoritmo di Facebook, inoltre, secondo le accuse di alcuni giornalisti, guiderebbe gli utenti verso materiale meno sfumato e più estremo, perché è ciò che suscita in modo più efficiente una reazione.

https://espresso.repubblica.it/economia/2021/11/03/news/facebook_meta_mark_zuckerberg-324782529/

Fra fake news, estremismi ed influenza negativa sugli adolescenti, ciò che appare improcrastinabile, a prescindere dall’accanimento mediatico nei confronti di questi strumenti, è l’adozione di misure adeguate che disciplinino il fenomeno dei social da un punto di vista tecnologico, ma anche legislativo.

  1. Fiducia nel futuro (e nel cambiamento)

A guidare il cambiamento “Non saranno i leaderma la gente ha detto il Presidente Biden alla conferenza sul clima a Glasgow. E allora saranno le nuove generazioni il vero cambiamento?

Il “tempo è ora” ed i giovani di oggi sono i candidati migliori per la missione: i giovani non sono sospettosi, perché di male non ne hanno ancora visto molto. Sono fiduciosi, perché non hanno ancora avuto il tempo di essere ingannati.

Quest’ottimismo è solo illusione? No, se sapremo coltivare questa fiducia adattando il sistema affinché anche i giovani possano diventare protagonisti del Paese e del mondo. “I giovani devono pensare e affrontare il loro futuro nel migliore dei modi non dando adito alle loro paure, affrontando quindi le varie difficoltà che la vita gli riserva con coraggio e anche con spensieratezza”, disse un giorno Rita Levi Montalcini.

Inoltre, i giovani non devono avere paura di provare, e di fallire.

Fallire: dal latino fallere e prima ancora dal greco σφάλλω (sphàllō), cadere, inciampare, commettere un errore. Questo e solo questo significa fallimento. Capita a tutti di inciampare. Di mettere un piede in fallo, di cadere, per poi rialzarsi. la caduta, l’inciampo, è divenuto la peggiore delle colpe. Fallire significa essere espulsi per sempre da una società fondata sul successo e sul dovere di vincere. Col risultato che, mai come ora, il tasso di depressione, soprattutto tra i più giovani, è altissimo. Difficilmente qualcuno ci tende la mano, quando cadiamo; siamo lasciati a terra, da soli, perché abbiamo osato violare le regole del crudele gioco moderno della perfezione.

Oggi per la paura di sbagliare e di fallire i giovani rischiano di cadere nella “sindrome dell’anatra”, definizione coniata nell’università americana di Stanford, che sta a indicare l’ideale di eccelsa perfezione che i giovani si sentono in dovere di raggiungere. L’anatra nuota con una tecnica particolare, guardandola da fuori appare calma e tranquilla sulla superficie, mentre sott’acqua agita le zampe con forza e senza sosta per mantenere la posizione e la stabilità.

I giovani, quindi, devo provare, sbagliare, cadere e … rialzarsi. Un fallimento elaborato può rivelarsi più prezioso di un successo. Meglio fallire subito, e rialzarsi in fretta, che non fallire affatto. D’altronde alcune stime riportano che il tasso di insuccesso nella Silicon Valley è del 90 per cento: né più né meno che per le piccole imprese in altri settori.

Il cambiamento è nella spensieratezza di chi ha fiducia nel futuro.

Padova, 3 novembre 2021

(Avv. Carlotta Seghi)

[1] Il testo del decreto legge dispone “alle alternative concretamente praticabili” ma l’emendamento approvato elimina questo riferimento.

[2] Si tratta della moratoria di cui all’art. 182 bis, primo comma, lettere a) e b) L.F. Il piano dovrà pertanto prevedere il pagamento dei creditori non aderenti in modo integrale e tempestivo.

[3] Di cui all’art. 161, sesto comma, L.F.

[4] Previste dall’art. 182 bis, sesto comma, L.F.